Cesare Pronti (Cattolica, 30 novembre 1626 – Ravenna, 22 ottobre 1708) è stato un pittore italiano.
Nacque da Marcantonio Baciocchi e dalla riminese Caterina Pronti[1], mostrando fin da bambino spiccata inclinazione all'arte ed al disegno. Narra un aneddoto citato da Lione Pascoli[2] che egli ancor fanciullo al vedere, nella fiera di Senigallia, una raccolta di bei quadri in una bottega, si fermò a contemplarli per più ore immemore del pranzo e dei genitori che lo cercavano. All'osservatore che lo guardava perplesso e lo invitava ad andare a mangiare, rispose risentito: "Che pretendete forse di mandarmi a pranzo per timore che non mangi i vostri quadri? Io non ho mai veduto che gli occhi mangino, né che per vedere cose esposte al pubblico si paghi la vista, o che si logorino per soverchio guardarle. Ho fatto questa mattina di buon'ora colazione e non ho fame e mentreché altri stanno qui vi posso stare ancor io al par di loro."
Per assecondare tale inclinazione e per imparare l'arte venne inviato a Bologna a bottega dal Guercino, ove rimase qualche anno, abbandonando il cognome paterno a favore di quello della madre, trasferendosi poi a Rimini, ove vestì l'abito talare dei padri di Sant'Agostino. Terminato il noviziato, tornò a Bologna dal Guercino per completare la sua formazione artistica: indi si stabilì definitivamente in un convento degli Agostiniani a Ravenna, diventando noto come Padre Cesare da Ravenna (o anche frà Cesare Baciocchi).
Cesare Pronti, "prospettivo, architetto e pittore"[3], apprezzato dai contemporanei e noto per l'attenzione nelle sue opere verso il tema dell'architettura intesa nei suoi aspetti prospettici, pittoreschi e decorativi, per le sue pitture si accontentava di pochissimo e molte volte era grande difficoltà fargli accettare qualcosa che superasse il valore dei colori; questa modestia d'animo è ravvisabile anche nella disponibilità a realizzare opere di minore importanza come stemmi di cardinali protettori, fregi per varie cappelle, cartigli per accademie.
Seguace del Guercino, fu a contatto col Cignani e pittori della sua cerchia: sue opere anche di grande dimensione sono tuttora visibili in chiese e musei di Ravenna, Rimini, Pesaro ed altre città della Romagna, mentre sono citati dal Pascoli ritratti e prospettive da lui eseguiti anche per committenti esteri.
Rinomato all'epoca come quadraturista, sono oggi rimaste poche testimonianze delle sue architetture dipinte: in particolare brandelli di scene prospettiche nella chiesa di San Nicolò a Ravenna (oggi sede del Museo TAMO Mosaico) e la restaurata cappella della ex sagrestia della chiesa di San Romualdo a Ravenna (oggi Sala Muratori), adiacente la Biblioteca Classense.
Morì nel 1708 e fu seppellito nella chiesa di San Nicolò a Ravenna: l'edificio verrà sconsacrato nel XIX secolo, trasformato prima in magazzino e poi in cavallerizza, disperdendosi ogni traccia dei resti del pittore.