Per Collegio episcopale nella Chiesa cattolica s'intende l'insieme di tutti i vescovi con a capo il romano pontefice.
Nella costituzione Lumen gentium il Concilio Vaticano II stabilisce una analogia tra il collegio degli apostoli e quello dei vescovi uniti col romano pontefice: «Come san Pietro e gli altri apostoli costituiscono, per volontà del Signore, un unico collegio apostolico, in pari modo il romano pontefice, successore di Pietro, e i vescovi, successori degli apostoli, sono uniti fra di loro»[1]
Il motu proprio Apostolos suos ribadì che:
«La Chiesa universale non può essere concepita come la somma delle Chiese particolari né come una federazione di Chiese particolari. Essa non è il risultato della loro comunione, ma, nel suo essenziale mistero, è una realtà ontologicamente e temporalmente previa ad ogni singola Chiesa particolare. [...] Solo il Romano Pontefice, capo del Collegio, può esercitare singolarmente la suprema potestà sulla Chiesa. In altre parole «la collegialità episcopale in senso proprio o stretto appartiene soltanto all'intero Collegio episcopale, il quale come soggetto teologico è indivisibile». E ciò per volontà espressa del Signore. La potestà, però, non va intesa come dominio, ma le è essenziale la dimensione di servizio, perché deriva da Cristo, il Buon Pastore che offre la vita per le pecore.»
La lettera apostolica esprime la differenza sostanziale e ontologica che esiste fra il Collegio episcopale e le Conferenze Episcopali: solamente il primo è di diritto divino ed è un Corpo unico in Cristo, ritenuto indivisibile e infallibile, il quale assume una rilevanza teologica e ecclesiosiologica, alle quali consegue un'autorità dottrinale[3] e dogmatica
Al Pontefice viene riconosciuto l'esercizio della potestà e del primato di giurisdizione, assimilato e attribuito in modo e grado equivalente anche al Collegio Episcopale. Non viene contemplato il caso meramente teorico di una divisione del soggetto teologico di gravità tale da interrompere la comunione di una Conferenza o di una Federazione di Conferenze col Romano Pontefice.
Nel Codice di diritto canonico del 1983 al canone 336 si legge: «Il Collegio dei Vescovi, il cui capo è il Sommo Pontefice e i cui membri sono i Vescovi in forza della consacrazione sacramentale e della comunione gerarchica con il capo e con i membri del Collegio, e nel quale permane perennemente il corpo apostolico, insieme con il suo capo e mai senza il suo capo, è pure soggetto di suprema e piena potestà sulla Chiesa universale».
Rispetto alla tradizione precedente, il Codice di diritto canonico attribuisce al capo del Collegio Episcopale un diritto di veto che può privare qualsiasi decisione della soggettività giuridica in fatto di suprema e piena potestà sulla Chiesa universale. Viceversa, il Pontefice, può esercitare una potestà suprema sulla Chiesa universale, ancorché non piena, a prescindere dal Collegio dei Vescovi.
La diffusione dell'eresia e dell'apostasia è verità di fede della Chiesa Cattolica menzionata nel Catechismo. I nn. 675 e 677[4] legittimano l'ipotesi secondo la quale «la massima impostura religiosa dell'Anticristo» possa pervenire ai più alti livelli della gerarchia ecclesiastica dato che «il Regno non si compirà dunque attraverso un trionfo storico della Chiesa 643 secondo un progresso ascendente, ma attraverso una vittoria di Dio sullo scatenarsi ultimo del male 644 che farà discendere dal cielo la sua Sposa». Tale asserzione teologica e biblica legittima la previsione giuridica di un metodo di gestione delle antinomie giuridiche, dottrinali, ecclesiologiche e dogmatiche che vengono profetizzate anche in senso al Collegio Episcopale.