La crocifissione era, nell'Impero Romano, una modalità di esecuzione della pena di morte; si trattava di una vera e propria tortura, talmente atroce e umiliante che non poteva essere inflitta a un cittadino romano. Veniva preceduta dalla flagellazione, che rendeva questo rito ancora più straziante per il condannato. Cicerone le definì "il supplizio più crudele e il più tetro"[1].
Tale supplizio è tuttavia molto più antico dei Romani (alcuni documenti antichi ne parlano già all'epoca dei babilonesi) e non sempre è legato a una struttura a croce: delle volte, il condannato era legato a un singolo palo, a volte a una struttura a V rovesciata[senza fonte], ma lo scopo era tuttavia sempre lo stesso ovvero provocare la morte, dopo una lenta agonia, che interveniva per soffocamento determinato dalla compressione del costato (a tale scopo, di solito le gambe del condannato erano spezzate con una mazza o un martello), oppure a causa di collasso cardio-circolatorio; si presume che, talvolta, la morte intervenisse a seguito della combinazione di tutti e due gli aspetti.