Il deismo (dal latino: deus) è una filosofia religiosa razionalista ma non necessariamente anticlericale[1][2], che sostiene l'esistenza di un Dio Essere Supremo, ordinatore, ma esterno al mondo, con caratteri di "religione naturale".
Sviluppatasi nei secoli XVII e XVIII in Gran Bretagna,[1], diffusa successivamente in Francia, Germania e Stati Uniti d'America. Il deismo esclude dogmi, autorità religiose, ed elementi sovrannaturali, oltre che la maggioranza di ciò che viene collegato al paranormale e al misticismo religioso rivelato, considerati come mera superstizione ed errori che nascondono il vero carattere razionale della divinità. Nato in un'epoca fortemente segnata dalle guerre di religione combattute allora tra cattolici e protestanti, il deismo intendeva porre fine ai contrasti fra le religioni rivelate[1][2] in nome di quell'univocità della ragione sentita, in particolare nell'ottica dell'Illuminismo, come l'unico elemento in grado di unire in fratellanza tutti gli esseri umani.[1][2] In quest'ambito Kant nella Critica della ragion pura diede una definizione dei due termini di deismo e teismo che precedentemente erano sinonimi (come si nota nel Dizionario filosofico del deista Voltaire[3], nell'Emilio di Rousseau[4] e ne Il buon senso dell'ateismo di d'Holbach); scrive Kant:
«Colui che ammette solo una teologia trascendentale vien detto deista, e teista invece colui che ammette anche una teologia naturale. Il primo concede che noi possiamo conoscere, con la nostra pura ragione, l’esistenza di un essere originario, ma ritiene che il concetto che ne abbiamo sia puramente trascendentale: che sia cioè soltanto di un essere, la cui realtà è totale, ma non ulteriormente determinabile. Il secondo sostiene che la ragione è in grado di determinare ulteriormente tale suo oggetto in base all’analogia con la natura: e cioè di determinarlo come un essere, che in forza di intelletto e di libertà contiene in sé il principio originario di tutte le altre cose.[2]»
Il deismo assume quindi a priori l'esistenza di un Essere Supremo, creatore e regolatore delle leggi dell'universo,[2] indispensabile a spiegarne l'ordine, l'armonia e la regolarità. Nega però sia la necessità di una rivelazione, dalla quale comunque prescinde ritenendo che sia solo per gli incolti, sia la storicità di qualsiasi pretesa rivelazione.[1][2] A seconda dei casi ammette o meno l’esistenza di una provvidenza, di qualcosa che agisce nella storia oltre le azioni contingenti dell'uomo.
La negazione della rivelazione ha come conseguenza il rifiuto di qualsiasi dogma, testo sacro o autorità religiosa.[1][2] L'uso corretto della ragione consente all'uomo di elaborare una religione naturale e razionale completa e autosufficiente, capace di spiegare il mondo e l'uomo.
Il deismo viene definito anche come "religione naturale",[2] in quanto non fondato su testi sacri ma sulla ragione che, ribadendo l'esistenza di Dio, lo configura in termini differenti da quelli delle religioni rivelate. Esso assume anche alcuni elementi del panteismo di Spinoza (Deus sive Natura), come in Rousseau, o reputa Dio come ciò che è inconoscibile direttamente ma verso cui tende tutto l'uomo, come in Kant, o come qualcosa di esterno e disinteressato al mondo come in Hume e Voltaire.
«Il termine di deismo venne utilizzato già da Pierre Viret nel 1563, ma il movimento si affermò veramente soltanto nel XVII e nel XVIII sec. Ebbe diffusione soprattutto in Inghilterra, dove Herbert di Cherbury e in seguito Matthew Tindal, John Toland e Anthony Collins ne posero le basi concettuali nelle loro pubblicazioni, che suscitarono lo scandalo dei contemporanei. Nonostante la presenza di sensibilità diverse all'interno del movimento, il deismo fu caratterizzato dal vigore con il quale si oppose alla rivelazione biblica e alle istituzioni ecclesiastiche, in nome di una religione naturale che l'essere umano doveva essere in grado di scoprire con l'ausilio esclusivo della propria ragione. Sebbene i suoi adepti si richiamassero spesso a John Locke e al suo cristianesimo razionale e tollerante, essi divergevano dal suo pensiero per il carattere radicale del loro discorso. Equiparati agli atei [...] dagli apologisti cristiani, i deisti non negavano l'esistenza di Dio, ma denunciavano con fermezza le presunte incoerenze e persino l'immoralità della Sacra Scrittura, considerata tutt'al più come una congerie di contraddizioni, se non addirittura come un imbroglio sfruttato con abilità dalle autorità ecclesiastiche. Essa veniva a questo modo spogliata da qualunque carattere sacro. Eppure, nonostante il suo carattere radicale e polemico, la riflessione deista sull'Antico e sul Nuovo Testamento contribuì allo sviluppo della critica biblica, in particolare per quanto riguarda l'accertamento delle componenti giudaiche e cristiane, la storia del canone e l'interpretazione delle profezie.»
«Deismo: Orientamento di pensiero che riconosce l’esistenza di un Dio come prima causa, creatore e ordinatore del mondo: tale credenza (che, stabilita dalla ragione naturale, costituisce insieme all’immortalità dell’anima il nucleo della religione naturale), pur non essendo, per molti aspetti, in contrasto con posizioni teologiche delle Chiese cristiane, storicamente assume – lungo il sec. 17° e soprattutto nel 18° – un significato polemico contro le religioni storiche, le Chiese, contro l’idea di rivelazione o di mistero, in nome della ragione e della libertà di coscienza. Il termine deriva dal latino deus, come teismo dal greco ϑεός. I due termini, d. e teismo (il primo appare già nel 16° sec., forse usato per la prima volta dal calvinista M. Viret; il secondo fu messo in voga da Cudworth) furono sentiti come equivalenti ancora nell’Ottocento; [...] Storicamente il d. si matura nel Sei e Settecento, in relazione al nascere di una ragione critica e storica, alla crisi della coscienza religiosa tradizionale fortemente scossa dalle polemiche tra cattolici e riformati, alla scoperta di religioni antichissime e diverse dalla cristiana: in nome della ragione il d. combatte il dogmatismo delle religioni positive e cerca di definire, al di là delle differenze delle Chiese, un nucleo primordiale e «naturale» (perché conforme a ragione) della religione, in cui tutti gli uomini possano concordare, mentre considera le dottrine caratterizzanti le religioni storiche come aggiunte che spesso tradiscono quel nucleo essenziale («religione naturale»). Il d. diviene quindi promotore di ideali di tolleranza religiosa e di una critica assidua del soprannaturale, del miracoloso, dell’autoritario, di tutti quegli elementi insomma che sembrano sempre più annullare, introducendo spirito settario, l’universalità della religione naturale.»
<ref>
: non è stato indicato alcun testo per il marcatore rousseau1