Dialetti toscani | |
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Parlato in | Italia Francia |
Regioni | Toscana Corsica (come variante) Umbria (zona occidentale confinante con la Toscana) |
Locutori | |
Totale | circa 3 000 000 |
Classifica | Non nei primi 100 |
Tassonomia | |
Filogenesi | Indoeuropee Italiche Romanze Italo-occidentali Romanze occidentali Italo-dalmate Dialetti toscani |
Statuto ufficiale | |
Ufficiale in | - |
Regolato da | nessuna regolazione ufficiale |
Codici di classificazione | |
ISO 639-2 | -
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Linguist List | ita-tus (EN)
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Linguasphere | 51-AAA-qa
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Estratto in lingua | |
Dichiarazione universale dei diritti umani, art. 1 Tutti l'òmini é nascan liberi e 'guali 'n dignità e diritti. Gl'ènno/É so dotai 'i ragione e di oscienza, e dèan agì l'uni verzo l'antri 'n ispirito 'i fratellanza. (Vernacolo Fiorentino) | |
I dialetti toscani[1] costituiscono un insieme di vernacoli (ossia un continuum dialettale) di ceppo romanzo diffuso nell'area d'Italia corrispondente all'attuale regione Toscana, con l'esclusione delle parlate della Romagna toscana, di quelle della Lunigiana e di quelle dell’area carrarese.[2][3]
Caratteristica principale di tali idiomi è quella di essere sostanzialmente parlati; ciò garantisce una chiara distinzione dall'italiano, che da sempre (e soprattutto fino al 1861) è stata una lingua che più ancora che parlata era soprattutto scritta, letteraria, aristocratica, praticata dalle élite scolarizzate. Il toscano quindi è un sistema linguistico allo stesso tempo innovativo (grazie all'uso vivo), ma anche conservativo, arcaizzante, grazie al suo (ancora oggi forte) legame con le aree più rurali della regione.
Tradizionalmente, i dialetti toscani erano considerati semplici varianti o "vernacoli" dell'italiano, data la grande somiglianza con l'italiano colto di cui, peraltro, costituiscono la fonte (sia pure modificatasi nel tempo rispetto alla parlata odierna).
I primi contributi letterari significativi in toscano risalgono al XIII-XIV secolo con le opere di Dante Alighieri, Francesco Petrarca e Giovanni Boccaccio, e successivamente nel XVI secolo con Niccolò Machiavelli e Francesco Guicciardini, che conferirono ai parlari toscani la dignità di "lingua letteraria" della penisola.
Al momento dell'unificazione dell'Italia fu scelto come lingua da adoperare ufficialmente, mettendo fine a una secolare discussione, a cui aveva partecipato anche Dante (nel De vulgari eloquentia), che vedeva due fazioni contrapposte, una che sosteneva la nascita di una lingua italiana sulla base di uno dei cosiddetti dialetti e un'altra che si proponeva di creare una nuova lingua che prendesse il meglio dai vari dialetti. Prese piede agli inizi del XIX secolo proprio la prima corrente, soprattutto grazie al prestigioso parere di Alessandro Manzoni (molto nota è la vicenda relativa alla scelta della lingua per la stesura de I promessi sposi e i panni sciacquati in Arno), ma non poche furono le critiche mossegli da chi sosteneva (in primo luogo, il glottologo goriziano Graziadio Isaia Ascoli) che il toscano era un dialetto come gli altri e una vera lingua nazionale sarebbe potuta nascere solo dopo l'incontro tra le varie culture del paese.