Il distributismo, noto anche come distribuzionismo, è una filosofia economica formulata da alcuni pensatori quali Gilbert Keith Chesterton, padre Vincent McNabb e Hilaire Belloc per applicare quei principi di dottrina sociale della Chiesa cattolica che affondano le proprie radici nell'esperienza benedettina (ora et labora) ed espressi modernamente nella dottrina di papa Leone XIII contenuta nell'enciclica Rerum Novarum[1] e ulteriormente sviluppati da papa Pio XI nell'enciclica Quadragesimo Anno.[2]
Secondo il distributismo, la proprietà dei mezzi di produzione deve essere ripartita nel modo più ampio possibile fra la popolazione generale, piuttosto che essere centralizzata sotto il controllo dello Stato (nel comunismo), anche se tale affermazione riguarda in particolare il marxismo-leninismo. Sia nel socialismo rivoluzionario, che in quello utopista di Proudhon ed, in particolare nell’anarchismo, la distribuzione avviene direttamente attraverso le assemblee federali e comunali non per mezzo dello Stato. Nel caso del capitalismo invece questo permette a pochi privati facoltosi di ottenere tutte le ricchezze prodotte con il lavoro degli altri. Una sintesi del distributismo si trova nel postulato di Chesterton «Troppo capitalismo non significa troppi capitalisti, ma troppo pochi capitalisti».[3] Il postulato di Chersterton non ha nulla a che vedere con il distributismo, il quale non è presente in alcuna teoria del liberismo classico e del neoliberismo. Le radici del distributismo sono invece da ricercare nella necessità da parte della Chiesa di adeguarsi alle rivendicazioni dei partiti e dei movimenti socialisti nell’Ottocento. In sostanza, il distributismo si distingue per la sua idea di distribuzione dei beni e dei mezzi di sostentamento, prima fra tutti la proprietà della casa.
Il distributismo sostiene che, mentre il socialismo non permette alle persone di possedere proprietà (che sono sotto il controllo dello Stato o del comune) ed il capitalismo permette a pochi di possedere (come inevitabile risultato di competizione meritocratica), il distributismo cerca di consentire che la maggior parte delle persone diventino i proprietari dei mezzi di produzione e della propria casa. Come Hilaire Belloc stabilì, lo "Stato distributivo" (cioè lo Stato che ha attuato il distributismo) contiene "un agglomerato di famiglie di diversa ricchezza, ma di gran lunga il maggior numero di proprietari dei mezzi di produzione".[4] Questa più ampia distribuzione non si estende a tutti i beni, ma solo a mezzi di produzione e di lavoro, la proprietà che produce ricchezza, cioè, le cose necessarie per l'uomo per sopravvivere. Esso include terra, strumenti, ecc., ma anche la casa, fondamentale per la vita stessa dell'uomo e della famiglia.[4]
Il distributismo è stato spesso descritto come una terza via alternativa a socialismo e capitalismo. Tuttavia, alcuni l'hanno visto più come un'aspirazione, visto che è stato realizzato con successo solo a breve termine e localmente a favore dei principi di sussidiarietà e solidarietà, questi raggiunti in cooperative locali finanziariamente indipendenti. Essi sostengono che in futuro il lavoro salariato sarà visto così come oggi viene visto lo schiavismo.