L'emigrazione italiana è un fenomeno emigratorio su larga scala finalizzato all'espatrio che interessa la popolazione italiana, che ha riguardato dapprima l'Italia settentrionale e poi, dopo il 1880, anche il Mezzogiorno d'Italia[1], conoscendo peraltro anche consistenti movimenti interni, compresi cioè all'interno dei confini geografici del Paese.
Sono stati tre i periodi durante i quali l'Italia ha conosciuto un cospicuo fenomeno emigratorio destinato all'espatrio. Il primo periodo, conosciuto come grande emigrazione, ha avuto inizio nel 1861 dopo l'unità d'Italia ed è terminato negli anni venti del XX secolo con l'ascesa del fascismo. Il secondo periodo di forte emigrazione all'estero, conosciuto come migrazione europea, è avvenuto tra la fine della seconda guerra mondiale (1945) e gli anni settanta del XX secolo. Tra il 1861 e il 1985 hanno lasciato il Paese, senza farvi più ritorno, circa 18 725 000 italiani[2]. I loro discendenti, che sono chiamati "oriundi italiani", possono essere in possesso, oltre che della cittadinanza del Paese di nascita, anche della cittadinanza italiana dopo averne fatto richiesta, ma sono pochi i richiedenti che risiedono fuori Italia. Gli oriundi italiani ammontano nel mondo a un numero compreso tra i 60 e gli 80 milioni[3].
Una terza ondata emigratoria destinata all'espatrio, che è cominciata all'inizio del XXI secolo e che è conosciuta come nuova emigrazione, è causata dalle difficoltà che hanno avuto origine nella grande recessione, crisi economica mondiale che è iniziata nel 2007. Questo terzo fenomeno emigratorio, che ha una consistenza numerica inferiore rispetto ai due precedenti, interessa principalmente i giovani, spesso laureati, tant'è che viene definito come una "fuga di cervelli". Secondo l'anagrafe degli italiani residenti all'estero (AIRE), il numero di cittadini italiani che risiedono fuori dall'Italia è passato dai 3 106 251 del 2006 ai 5 806 068 del 2021, con un incremento pari all'87%[4].