L'esercito seleucide fu lo strumento che permise ai sovrani della dinastia seleucide di mantenere, espandere e difendere il proprio impero, dalla dissoluzione del regno di Alessandro Magno (323 a.C.) alla perdita degli ultimi territori in Siria (83 a.C.). I Seleucidi utilizzarono una armata simile a quella Macedone, aggiungendo a reparti tradizionalmente ellenistici come la falange truppe orientali. I re di Siria riusciranno sempre a mettere in campo eserciti molto numerosi e multietnici; l'armata Seleucide infatti fu una delle migliori armate in servizio ai Diadochi, dotata di effettivi numerosi, un'ottima cavalleria ed armi speciali come gli elefanti da guerra e carri falcati. Nonostante nelle file dell'esercito combattessero guerrieri da ogni angolo dell'Asia, la vera spina dorsale dell'esercito furono i greco-macedoni, che formavano la stragrande maggioranza dei falangiti e buona parte della cavalleria.
Per garantirsi un maggiore controllo sul territorio, i sovrani Seleucidi avevano dato il via a un'imponente politica di colonizzazione, fondando o popolando di greci numerose città in tutta l'Asia: queste colonie militari (katoikie), che trovano un corrispettivo nelle cleruchie tolemaiche, fungevano da centri di irradiazione della cultura ellenica e occupavano posizioni strategiche per i commerci e la dominazione; inoltre fungevano da serbatoio di reclute elleniche, tendenzialmente fedeli al governo centrale. I seleucidi furono abbastanza prudenti da non includere mai nella falange i nativi siriani, aramei o mesopotamici, che abitavano le aree vitali dell'impero; un errore che sarebbe costato caro ai Tolomei quando, in occasione della battaglia di Raphia fecero addestrare 20.000 nativi egiziani a combattere come falangiti macedoni. Infatti gli egiziani, resi sicuri di sé dal nuovo potenziale militare di cui erano stati forniti, si ribellarono e per vent'anni formarono un regno indipendente nel basso Egitto.