Nella teologia cristiana la questione riguardante la giustificazione parte dal presupposto biblico che la creatura umana non è, nella sua attuale condizione, "a posto", "in linea", "giusta", rispetto ai criteri di giustizia stabiliti e rivelati da Dio stesso, perché essa è caratterizzata dal peccato. La creatura umana, così come essa si trova, non è "accettabile" agli occhi di Dio. Ci si pone quindi il problema di come essa possa tornare a diventare giusta di fronte a Dio, come essa possa essere "riabilitata".
La risposta a questa domanda nasce dalla Bibbia e va cercata e trovata nella Bibbia stessa, considerata dai cristiani regola ultima della fede e della condotta, in quanto Parola di Dio. Il perché lo indica il Genesi, cap. 3. San Paolo ne parla sia pur genericamente nella prima lettera ai Corinzi, in cui afferma che i peccatori non erediteranno il Regno dei cieli se non per mezzo della giustificazione, accettando Cristo che ci ha redenti.
Nel corso della storia della Chiesa, questo tema è stato ampiamente dibattuto, specialmente nella Chiesa occidentale (in oriente non ha mai avuto particolare rilievo), a partire soprattutto da Agostino di Ippona e dal suo antagonista Pelagio, ed anche come effetto della mentalità latina più portata ad una visione giuridica delle cose, fede compresa.
In particolare nella controversia protestante la dottrina della giustificazione è vista come fondamentale per il carattere del Cristianesimo come religione di grazia e di fede, per la propria salvezza. Martin Lutero, ex monaco agostiniano (che riteneva alquanto pelagiana la Chiesa istituzionale), definisce questa dottrina articulus stantis vel cadentis ecclesiae, tanto che una Chiesa che la rinneghi nella forma o nella sostanza potrebbe a malapena definirsi cristiana.
Questa dottrina:
Gran parte dei problemi che lo concernono sono di carattere etimologico. Il verbo latino justificare da cui deriva questo termine ha indubbiamente un carattere "forense", connota cioè un tribunale che dichiara un imputato "innocente", vale a dire "che non ha commesso il fatto". Se il carattere del termine è "forense", ci si pone quindi il problema su che base questo "tribunale" lo dichiari giusto, in particolare: