Grande Madre

Venere di Willendorf (Austria, circa XXII millennio a.C.)

La Grande Madre, anche Grande Dea, o Dea Madre, è una divinità femminile primordiale, rinvenibile in forme molto diversificate in una vasta gamma di culture, civiltà e popolazioni di varie aree del mondo a partire dalla preistoria,[1] sia nel periodo paleolitico, sia in quello neolitico.[2]

La sua figura, che rimanda al simbolismo materno della creatività, della nascita, della fertilità, della sessualità, del nutrimento e della crescita, era conosciuta ad esempio come Ninhursag, Cibele, Gaia, Rea, Demetra.[3]

Queste divinità, conesse al culto della Madre Terra,[4][5][6][7] esprimevano l'interminabile ciclo di nascita-sviluppo-maturità-declino-morte-rigenerazione che caratterizzava sia le vite umane, sia i cicli naturali e cosmici.

Esse però, essendo appartenenti all'immaginario archetipico delle popolazioni matriarcali, secondo l'ideologo russo Dugin non andrebbero confuse con quelle dell'immaginario patriarcale di popolazioni indoeuropee giunte successivamente, legate piuttosto al mito della Vergine celeste,[3] ma con cui di fatto si mescolarono, come Ashtoreth dei Fenici, Ishtar in Mesopotamia, Astarte presso i Semiti, Atar in Arabia, Hathor presso gli Egizi, Afrodite tra i Greci e i Romani,[8][9][10][11][12][13] ed altre ancora.[14][15]

In tale figura composita, dopo che vi fu confluito appunto il mito della Grande Vergine,[16] vengono ricondotte non solo le cosiddette Veneri dell'età della pietra, ma anche la Vergine Maria.[1][17] Nella mitologia andina è conosciuta come Pachamama,[18] tra gli aborigeni australiani come Kunapipi.[19]

Grande Dea Madre (Collezione Mainetti, New York)
  1. ^ a b (EN) Mother goddess, su britannica.com.
  2. ^ Essa coinvolge quindi le civiltà di cacciatori-raccoglitori del paleolitico, sia quelle già incentrate sull'agricoltura e l'allevamento animale del neolitico, cfr. Vincenzo Iannuzzi, Evoluzione della vita fino alla protostoria: attualità, Elison Publishing, 2019.
  3. ^ a b Aleksandr Dugin, Noomachia: rivolta contro il mondo postmoderno, AGA Editrice, 2020.
  4. ^ Religione, su Terra, treccani.it.
  5. ^ Fiammetta Ricci, Il corpo nell'immaginario: simboliche politiche e del sacro, pag. 232, Edizioni Nuova Cultura, 2012.
  6. ^ Marialuisa Vallino, Valeria Montaruli, Artemisia e le altre: miti e riti di rinascita nella violenza di genere, pag. 42, op. cit.
  7. ^ Enzo Bianchi, Massimo Cacciari, Simona Argentieri, Madre, madri, BUR, 2013.
  8. ^ Enzo Bianchi, Massimo Cacciari, Simona Argentieri, Madre, madri, BUR, 2013.
  9. ^ Lorenzo Braccesi, Hesperia 10: Studi Sulla Grecita Di Occidente, pag. 195, L'Erma di Bretschneider, 2000.
  10. ^ Anche Erich Neumann parlava di Afrodite come «Grande Madre» (Lionello Sozzi, Amore e Psiche: un mito dall'allegoria alla parodia, pag. 23, Il Mulino, 2007).
  11. ^ «[Venere] [...] simboleggia la Grande Madre, principio universale femminile cui furono dati tanti nomi secondo le tradizioni. Si chiamava Astoreth tra i Fenici, Ishtar in Mesopotamia, Astarte fra i Semiti, Atar in Arabia, Hathor in Egitto, Cibele, Rea, Urania e Afrodite in Grecia» (Alfredo Cattabiani, Planetario, pag. 84, Mondadori, 2015).
  12. ^ Roberto La Paglia, La grande madre. I culti femminili e la magia lunare, Edizioni Akroamatikos, 2008.
  13. ^ Nanà Corsicato, Santuari, luoghi di culto, religiosità popolare, pag. 110, Liguori Editore, 2006.
  14. ^ (EN) Great Mother of the Gods, su britannica.com.
  15. ^ Marialuisa Vallino, Valeria Montaruli, Artemisia e le altre: miti e riti di rinascita nella violenza di genere, pp. 41-50, Armando Editore, 2016.
  16. ^ Arturo Schwarz, La donna e l'amore al tempo dei miti: la valenza iniziatica ed erotica del femminile, pag. 48, Garzanti, 2009.
  17. ^ Philippe Borgeaud, La Madre degli Dei. Da Cibele alla Vergine Maria, trad. it. di G. Mongini, Morcelliana, 2006.
  18. ^ Hernán Huarache Mamani, Gli ultimi curanderos, pag. 46, Piemme, 2012.
  19. ^ Ludwig Janus, I sentieri della coscienza: verso una sintesi delle esperienze spirituali (1991), pag. 138, trad. it. di Erika Gsell, Roma, Mediterranee, 1997.

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