Guerra civile dello Yemen del Nord

Guerra civile dello Yemen del Nord
Guerriglieri monarchici in azione sulle montagne yemenite con un cannone senza rinculo
Datasettembre 1962 - aprile 1970
LuogoYemen settentrionale
Esitovittoria dei repubblicani yemeniti
Schieramenti
Comandanti
Effettivi
Yemen: 20 000 semi-regolari
200 000 irregolari tribali (1965)
Egitto: 70 000 uomini (1965)
Perdite
più di 200 000 morti in totale[1]
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La guerra civile dello Yemen del Nord fu un lungo conflitto che interessò la parte settentrionale dell'attuale Yemen dal settembre 1962 all'aprile 1970. Il conflitto si originò dal colpo di Stato messo in atto da ufficiali dell'esercito e membri dell'élite politica del Regno Mutawakkilita dello Yemen contro il monarca in carica, l'imam Muhammad al-Badr, da poco salito al trono dopo la morte del padre: i golpisti catturarono la capitale Sana'a e i maggiori centri urbani del paese, proclamando l'istituzione di una Repubblica Araba dello Yemen con a capo il presidente ʿAbd Allāh al-Sallāl. Al-Badr riuscì tuttavia a fuggire nelle regioni settentrionali, iniziando a raccogliere una vasta armata tra i clan tribali della zona e minacciando la tenuta del nuovo governo repubblicano.

I repubblicani si rivolsero quindi al loro patrono politico, l'Egitto di Gamal Abd el-Nasser: questi vide l'opportunità di sfruttare lo Yemen come base per insidiare tanto la colonia britannica di Aden quanto le monarchie conservatrici della penisola arabica, e acconsentì quindi a inviare un corpo di spedizione egiziano a sostegno dei repubblicani, arrivato a contare nel tempo 70 000 uomini. L'intervento egiziano provocò la risposta dell'Arabia Saudita, che iniziò a fornire ai guerriglieri monarchici armi, denaro e basi sicure sul suo territorio; i sauditi furono poi affiancati nei loro aiuti da una variegata coalizione internazionale di Stati ostili all'Egitto di Nasser. Il conflitto raggiunse ben presto un alto grado di brutalità, con esecuzioni di prigionieri, bombardamenti indiscriminati sui centri urbani (anche in territorio saudita) e attacchi di rappresaglia sulla popolazione civile; gli egiziani fecero inoltre ricorso ad attacchi con armi chimiche contro i villaggi sospettati di aiutare i monarchici.

La guerra si trascinò sanguinosamente per diversi anni, costando vaste perdite umane e finanziarie all'Egitto. Dopo la sconfitta nella guerra dei sei giorni del giugno 1967 Nasser decise infine di porre fine all'intervento, negoziando un accordo in base al quale le truppe egiziane sarebbero state ritirate in cambio di una cessazione dell'aiuto saudita ai monarchici. La partenza degli egiziani sembrò portare al collasso la Repubblica yemenita, ma a Sana'a il presidente Sallal fu deposto e sostituito da un governo più moderato sotto il qadi Abd al-Rahman al-Iryani, che seppe riconciliarsi con molte tribù yemenite; i monarchici assediarono inutilmente la capitale tra il dicembre 1967 e il febbraio 1968, ma furono infine respinti grazie anche alle forniture militari concesse dall'Unione Sovietica ai repubblicani. Il conflitto si trascinò stancamente ancora per alcuni anni, mentre il governo di Sana'a si spostava su basi più conservatrici e ricostruiva un rapporto migliore con l'Arabia Saudita. Nell'aprile 1970 fu infine raggiunto un accordo di pace: venne formato un governo di unità nazionale comprendente elementi moderati tratti tanto dal campo repubblicano quanto da quello monarchico, mentre l'imam al-Badr dovette rinunciare al trono e recarsi in esilio all'estero.

  1. ^ Orkaby, p. 12.

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