Hathor

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Hathor

«Vieni, farò per te la gioia al crepuscolo e la musica alla sera! O Hathor, tu sei esaltata nella chioma di Ra[1] perché il cielo ti ha dato la profonda notte e le stelle. [...] Adoriamo la Dorata quando brilla in cielo!»

Hathor o Ator[3] (dall'originale egizio: ḥwt-ḥr; che significa Casa di Horus, ellenizzato Ἅθωρ, Hathor[4]) è una divinità egizia appartenente alla religione dell'antico Egitto, dea della gioia, dell'amore, della maternità e della bellezza[5][6]. Per tutta la storia egizia, fu una delle divinità più importanti e venerate; il suo culto, di origini preistoriche e predinastiche[7], si estendeva dalla corte faraonica (era ritenuta la madre simbolica dei faraoni[8]) ai ceti più umili. Veniva solitamente raffigurata nelle tombe con l'epiteto di Signora dell'Occidente, cioè Signora dei morti, e si credeva che accogliesse le anime nell'aldilà (Duat)[5]. Gli egizi la adoravano anche come dea della musica, della danza, delle terre straniere e della fertilità, e pensavano che assistesse le partorienti[9]. Inoltre, anche le miniere erano poste sotto la sua protezione[10], così come le sorgenti del Nilo. Era comunemente raffigurata come una vacca con il disco solare, provvisto di ureo, fra le corna; in epoca tarda veniva talvolta rappresentata con due piume e con il pettorale menat, tipico attributo delle sue sacerdotesse[11].

Nel corso dei millenni, Hathor assimilò una grande quantità di divinità locali, accumulando così una mitologia e degli attributi estremamente variegati[12] - al punto di essere considerata contemporaneamente madre, sposa e figlia di Ra e madre di Horus (come Iside); era associata a Bastet[7]. Mentre nel periodo classico della storia egizia tutti i defunti erano indistintamente equiparati a Osiride, dio dei morti, durante la dominazione romana dell'Egitto nacque la pratica di identificare le defunte con Hathor[13]. Gli antichi greci la associarono ad Afrodite[14].

  1. ^ I raggi solari. cfr. Christiane Desroches Noblecourt, Ramsete II Figlio del Sole, Milano, Sperling Paperback, 1997, ISBN 88-8274-292-X. p. 313.
  2. ^ Desroches Noblecourt (1997), p. 221.
  3. ^ Giulio Ferrario, Il costume antico e moderno o storia del governo, della milizia, della religione, dello arti, scienze ed usanze di tutti i popoli antichi e moderni provata coi monumenta dell'antichita e rappresentata cogli analoghi disegni, dalla Tipografia dell'editore, 1832. URL consultato l'8 gennaio 2023.
  4. ^ Claas Jouco Bleeker, Hathor and Thoth: two key figures of the ancient Egyptian religion, BRILL, 1973, ISBN 978-90-04-03734-2. pp.22-102.
  5. ^ a b Guy Rachet, Dizionario della Civiltà egizia, Gremese Editore, Roma (1994). ISBN 88-7605-818-4. pp.157-8.
  6. ^ Peter Der Manuelian, The ancient Egyptian pyramid texts, BRILL, 2005, ISBN 90-04-13777-7. p.432.
  7. ^ a b cur. Donald Redford, Oxford Guide to Egyptian Mythology, Berkley Reference, 2003, ISBN 0-425-19096-X. pp.157-61.
  8. ^ Hart (1986), p. 76.
  9. ^ Lorna Oakes, The Illustrated Encyclopedia of Ancient Egypt, Lorna Oakes, Southwater. ISBN 1-84476-279-3. pp.157-9.
  10. ^ Egypt State Information Service-Spring 1997, su sis.gov.eg, 20 novembre 2008. URL consultato il 23 dicembre 2016 (archiviato dall'url originale il 20 novembre 2008).
  11. ^ The Menit Necklace of Ancient Egypt, su touregypt.net. URL consultato il 23 dicembre 2016.
  12. ^ cur. Donald Redford, Oxford Guide to Egyptian Mythology, Berkley Reference, 2003, ISBN 0-425-19096-X. p.106.
  13. ^ cur. Donald Redford, Oxford Guide to Egyptian Mythology, Berkley Reference, 2003, ISBN 0-425-19096-X. p.172.
  14. ^ Reginald Eldred Witt, Isis in the Ancient World, JHU Press, 1997 ISBN 0-8018-5642-6. p.125.

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