Invidia

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Invidia, di Giotto (Cappella degli Scrovegni, Padova). L'invidia fa bruciare l'invidiosa che denigra l'invidiato, ma viene colpita dalla sua stessa malvagità. Il serpente della calunnia si rivolta contro di lei colpendole gli occhi.

Fu il sangue mio d'invidia sì riarso,
che se veduto avesse uom farsi lieto,
visto m'avresti di livore sparso.
(Dante Alighieri, Purgatorio, XIV, vv.82-84)

Il termine invidia (dal latino in - avversativo - e videre, guardare contro, ostilmente, biecamente o genericamente guardare male, quindi "gettare il malocchio")[1][2] si riferisce a un'"emozione secondaria",[3] per cui, in relazione a un bene o una qualità posseduta da un altro, si prova dispiacere e astio per non avere noi quel bene e a volte un risentimento tale da desiderare il male di colui che ha quel bene o qualità.[4]

A volte è confusa o compresente con la gelosia, che pur essendo simile all'invidia ne differisce perché riferita ad una possessività di carattere affettivo sentimentale[5].

  1. ^ Marco Tullio Cicerone definisce l'invidia il «produrre la disgrazia altrui mediante il proprio malocchio» (In Cicerone, Tusc. III, 9, 20
  2. ^ Afferma Agostino d'Ippona: «Video, sed non invideo» - Vedo, ma non invidio - in Evangelium Ioannis Tractatus 44, 11
  3. ^ Il neuropsicologo Antonio Damasio distingue due tipi di emozioni: emozioni primarie (innate, preorganizzate) e emozioni secondarie (elaborate dall'esperienza), attraverso i circuiti del "come se" (in Damasio A., L'errore di Cartesio. Emozione, ragione e cervello umano, Adelphi, Milano, 1995)
  4. ^ Dizionario della Salute e della Medicina Treccani alla voce corrispondente
  5. ^ Monia Frandina, Edoardo Giusti, Terapia della gelosia e dell'invidia, Sovera Edizioni, 2007

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