Il neoliberismo (internazionalmente chiamato neoliberalismo[1]) è un indirizzo di pensiero economico che, in nome delle riconfermate premesse dell’economia classica, denuncia le sostanziali violazioni della concorrenza perpetrate da concentrazioni monopolistiche all’ombra del laissez-faire e chiede pertanto misure statali atte a riaffermare l'effettiva libertà di mercato e a garantire con ciò il rispetto anche delle libertà politiche.
Gli economisti neoliberisti, come gli austriaci Friedrich von Hayek (1899-1992) e Ludwig von Mises (1881-1973) e il francese Jacques Rueff (1896-1978), non insistono tuttavia più sugli ipotetici vantaggi della libera concorrenza, ma sugli inconvenienti pratici dell’intervento dello Stato, ritenuto facile a degenerare in costrizione, pesante, sempre tardivo e spesso inefficace.[2]
Dal punto di vista filosofico, esso sarebbe parzialmente associabile alle teorie libertarie, se non che i termini liberista e neoliberista sono talvolta utilizzati con una connotazione dispregiativa. Ambo i termini esistono solo in lingua italiana: il primo di essi fu coniato dal filosofo Benedetto Croce a metà del XX secolo, mentre il secondo è entrato in uso nell'ultimo decennio dello stesso.
Il termine liberismo è spesso stato assimilato sin dalle origini crociane alle conseguenze economiche del pensiero politico liberale. Tuttavia, il liberalismo attribuisce all'autorità pubblica e al diritto proprio il compito (esclusivo) di difendere le libertà individuali, tra cui anche quelle economiche. L'essenza economica del liberalismo fu enunciata nel modo più esplicito dall'economista austriaco Eugen von Böhm-Bawerk (1851-1914): "Un mercato è un sistema giuridico, in assenza del quale l'unica economia possibile è la rapina di strada".