L'orientalistica è lo studio scientifico delle civiltà dell'Oriente, principalmente dal punto di vista storico, filologico-linguistico, antropologico e filosofico-religioso. Storicamente la disciplina studia le culture extra-europee, dai paesi dell'Asia a quelli dell'Africa settentrionale, quali Egitto ed Etiopia.[1]
Lo studio europeo delle regioni asiatiche, genericamente definite "l'Oriente" (anche quando ciò riguardava quello che fino al XIX secolo era chiamato il Levante, come la Grecia, parte dell'allora Impero ottomano), ebbe una motivazione essenzialmente religiosa, rimasta in auge fino ai tempi relativamente più recenti (seconda guerra mondiale).[1]
L'acquisizione delle conoscenze della medicina araba (che aveva progressivamente inglobato il sapere medico dell'antica Grecia, delle aree mediterranee ellenizzate, della Persia e dell'India, reso possibile dalle traduzioni curate da studiosi musulmani, ebrei e cristiani arabofoni) fu un importante fattore di sviluppo di tali studi nel Medioevo.
Il primo passo fu obbligatoriamente lo studio delle lingue veicolari delle regioni asiatiche ed africane da cui provenivano tali traduzioni, nella speranza di ampliare ulteriormente i propri orizzonti conoscitivi.[1] Ciò era oltretutto reso necessario al fine di approdare a una conoscenza meno raffazzonata dei testi sacri delle varie religioni asiatiche che, come l'Islam, facevano grande e sgradita concorrenza al Cristianesimo, e dunque per contestarne i valori.
Dopo lo studio delle lingue e delle religioni orientali fu poi il turno della storia, dell'arte e del diritto. Il fine abbastanza scoperto non era che in minima parte determinato dall'ansia di conoscenza, prevalendo invece la volontà di confronto materiale e morale delle popolazioni che ad altri credo religiosi ed etici si rifacevano.
A commissionare gli studi "orientalistici" non fu solo la Chiesa, bensì anche gli Stati nazionali europei, al fine di creare mercati sempre più ampi, in grado di assorbire i loro prodotti e di cedere a basso prezzo le materie prime necessarie allo sviluppo economico.
Dal fine del XVIII secolo l'archeologia orientale conobbe crescente attenzione da parte del pubblico colto europeo, fornendo materiale di enorme rilevanza storica ai musei che andavano sorgendo un po' in tutto il continente europeo e in quello statunitense; tra i primi musei europei che possedevano delle opere orientali ci fu il famoso museo del cardinale Stefano Borgia a Velletri, in questo caso si trattavano di opere provenienti dall'India; La fascinazione delle culture asiatiche e del cosiddetto "esotico" influenzò l'arte europea, facendo nascere un genere letterario e pittorico che tenne a battesimo le opere di un Pierre Loti[2] da un lato e di un Eugène Delacroix dall'altro[3][4].
Agli studi sulle culture dei paesi asiatici - ma, evidentemente, anche del Maghreb arabo e berbero, sottoposti a una severa opera di rifondazione dopo il secondo conflitto mondiale, - hanno cominciato a fornire il loro importante e qualificato contributo anche studiosi dei Paesi asiatici e africani.[1]