Paolo Lombardi (Siena, 1827 – Siena, 1890) è stato un fotografo italiano.
Fotografo professionista, fu attivo a Siena fin dal 1849 (come egli stesso dichiara nel frontespizio dei suoi cataloghi commerciali), anche se di questo periodo non sono pervenuti dagherrotipi e calotipi. La documentazione di cui disponiamo inizia a partire dal 1855 circa.
È il primo fotografo documentato a Siena ed uno dei primi in Italia, di 3-4 anni precedente ai Fratelli Alinari[1].
Dopo il 1849 aprì un negozio alla Costarella, a due passi da Piazza del Campo. La sua produzione principale fu quella di ritrattista e di vedutista di Siena e dintorni, ma dedicò particolare attenzione alle opere d'arte senesi, documentate in una raccolta di oltre 3000 negativi. La fama di ritrattista gli procurò la clientela più in vista della città e documentò i costumi delle Contrade, tanto che all'Esposizione provinciale del 1862 vinse un premio[1].
Partecipò all'Esposizione Universale di Parigi del 1867, alla Fiera mondiale di Vienna del 1873, dove espose fotografie al carbone, e alla Prima Esposizione Fotografica di Firenze del 1887 in cui presentò la riproduzione del pavimento del Duomo di Siena in tavole platinotipiche [2]. Si trattava del procedimento tecnico sicuramente più costoso dell'intera gamma delle antiche tecniche di stampa ed il risultato finale era tra i più precisi e raffinati poiché venivano usati i sali di platino, i quali però avevano un costo molto elevato[3]. Nel 1867 eseguì anche un celebre ritratto a Giuseppe Garibaldi in visita a Siena, poi accuratamente colorato a mano[1].
Il figlio Galileo proseguì l'attività paterna, cui seguirono i nipoti. Nel 1914 ai Lombardi subentra il fotografo Ghino Cesarini (1884-1959) fino al 1935, che aveva sposato Bettina Lombardi, quando l'Istituto Luce acquistò l'archivio Lombardi, composto da 3745 lastre per la maggior parte nel formato 20×26 cm e in misura minore nel formato 27×35 cm e 30×40 cm[4]. Una parte importante della produzione fotografica è di proprietà della Fondazione Monte dei Paschi di Siena[1], grazie alla raccolta di Ferruccio Malandrini e acquisita dalla Fondazione nel 2005.