Presidenza Theodore Roosevelt | |
---|---|
Theodore Roosevelt | |
Stato | Stati Uniti |
Capo del governo | Theodore Roosevelt (Repubblicano) |
Giuramento | 14 settembre 1901 |
Governo successivo | 4 marzo 1909 |
La presidenza di Theodore Roosevelt iniziò il 14 settembre 1901, quando Theodore Roosevelt divenne il ventiseiesimo presidente degli Stati Uniti dopo l'assassinio del presidente William McKinley, e terminò il 4 marzo 1909. Roosevelt era stato vicepresidente degli Stati Uniti per soli 194 giorni quando arrivò alla presidenza. Repubblicano, si candidò a un secondo mandato e vinse in modo travolgente le elezioni del 1904. Gli successe il suo protetto e prescelto, William Howard Taft.
Riformatore progressista, Roosevelt si guadagnò la reputazione di "abbatti cartelli" grazie alle sue riforme legislative e alle azioni penali antitrust. La sua presidenza vide l'approvazione della legge Pure Food and Drug Act sull'alimentazione e sui farmaci, che istituì la Food and Drug Administration per regolamentare la sicurezza alimentare, e la legge Hepburn, che attribuì più poteri alla Commissione per il commercio interstatale. Roosevelt si premurò, tuttavia, di dimostrare di non essere in disaccordo con le grandi aziende e con il capitalismo in linea di principio, ma solo con le pratiche monopolistiche. Il suo "Square Deal" ("patto leale") includeva la regolamentazione delle tariffe ferroviarie, dei cibi e dei farmaci; lo vedeva come un patto equo sia per il cittadino medio che per gli affari. Vicino sia agli imprenditori sia ai lavoratori, Roosevelt evitò i conflitti sindacali, in particolare negoziando un accordo per porre fine al grande sciopero del carbone del 1902. Promosse con vigore il movimento per la tutela ambientale, sottolineando l'importanza dell'uso efficiente delle risorse naturali. Ampliò notevolmente il sistema dei parchi nazionali e delle foreste nazionali. Dopo il 1906, la sua politica si spostò a sinistra, attaccando le grandi imprese, proponendo uno stato sociale e sostenendo i sindacati.
In politica estera, Roosevelt cercò di affermare la dottrina Monroe e di stabilire gli Stati Uniti come una forte potenza navale; si incaricò della costruzione del Canale di Panama, che facilitò notevolmente l'accesso al Pacifico e aumentò le opportunità commerciali, diventando strategicamente importante. Ereditò l'impero coloniale acquisito nella guerra ispano-americana (1898). Mise fine al governo militare degli Stati Uniti a Cuba e si impegnò per un'occupazione a lungo termine delle Filippine. Gran parte della sua politica estera si concentrò sulle minacce rappresentate dal Giappone nel Pacifico e dalla Germania nel Mar dei Caraibi. Cercando di ridurre al minimo il potere europeo in America Latina, mediò nella crisi venezuelana ed enunciò il cosiddetto corollario Roosevelt, che diceva sostanzialmente "comportamenti cronici sbagliati nel continente americano richiedono l'intervento di polizia internazionale da parte di una nazione civilizzata". Roosevelt fu mediatore anche nella guerra russo-giapponese (1904-1905), motivo per cui vinse il premio Nobel per la pace nel 1906. Perseguì relazioni più strette con il Regno Unito. Il biografo William Harbaugh sostiene:
Lo storico Thomas Bailey, che generalmente era in disaccordo con le politiche di Roosevelt, concluse tuttavia: "Roosevelt era una grande personalità, un grande attivista, un grande predicatore della morale, un grande polemista, un grande uomo di spettacolo. Dominò la sua epoca come dominava le conversazioni (...) le masse lo adoravano; si dimostrò un grande idolo popolare e un grande raccoglitore di voti."[2] Il suo volto è ritratto accanto a quelli di George Washington, Thomas Jefferson e Abraham Lincoln sul Monte Rushmore. Sebbene Roosevelt sia stato criticato da alcuni per la sua posizione imperialista, è spesso classificato dagli storici tra i primi cinque più grandi presidenti degli Stati Uniti di tutti i tempi.[3]