Il termine razzismo, nella sua definizione più semplice, si riferisce ad un'idea secondo cui determinati gruppi umani naturali, generalmente descritti come "razze", siano intrinsecamente superiori ad altri gruppi etnici umani . La scienza moderna [1] considera errata la classificazione umana in distinte razze ben definite,[2], come dimostrato dalla genetica delle popolazioni e da molti altri approcci metodologici, stabilendo che la specie umana, la cui variabilità fenotipica, l'insieme di tutte le caratteristiche osservabili di un vivente, è per lo più soggetta alla continuità di una variazione clinale. I sostenitori delle idee, oggi ampiamente smentite dalla scienza moderna, del razzismo scientifico affermano che la specie umana possa essere suddivisibile in razze biologicamente distinte, caratterizzate da diverse capacità intellettive, valoriali, etiche o morali, con la conseguente convinzione che sia possibile determinare una gerarchia secondo cui un particolare, ipotetico, raggruppamento razzialmente definito possa essere considerato superiore o inferiore a un altro.[3]
In "senso stretto", il razzismo, come teoria della divisione biologica dell'umanità in razze superiori e inferiori, è un fenomeno abbastanza recente. In senso più ampio, invece, si tratta di una generale antica tendenza a discriminare i "diversi" (nazioni, culture, classi sociali inferiori) e la principale funzione del razzismo, in tutte le varianti, fu sempre di giustificare qualche forma di discriminazione o oppressione.[4]
Nel 1950 il documento Dichiarazione sulla razza dell'UNESCO è stato il primo documento ad aver negato ufficialmente la correlazione tra la differenza fenotipica nelle razze umane e la differenza nelle caratteristiche psicologiche, intellettive e comportamentali.[5]