La rivolta di Varsavia (in polacco: powstanie warszawskie) fu l'azione insurrezionale intrapresa dall'Esercito nazionale polacco che fra il 1º agosto e il 2 ottobre 1944 tentò di contendere il possesso della capitale polacca all'esercito d'occupazione tedesco, allo scopo di liberare la città di Varsavia prima dell'arrivo dell'Armata Rossa sovietica, giunta ormai alle porte della città dopo le grandi vittorie dell'offensiva estiva sul fronte orientale.
L'insurrezione ottenne inizialmente alcuni limitati successi e sorprese la guarnigione tedesca mettendo in difficoltà l'esercito tedesco nei primi giorni, dato che la Wehrmacht all'inizio della rivolta era impegnata in un deciso contrattacco sul fronte della Vistola contro le unità corazzate sovietiche della 2ª Armata carri della Guardia che, giunte nel sobborgo varsaviano di Praga, furono temporaneamente bloccate e respinte a Radzymin e Wolomin. I rivoltosi quindi dovettero affrontare la violentissima repressione organizzata dal comando tedesco con l'intervento di brutali unità specializzate delle Waffen-SS, e rinforzi di fanteria, artiglieria e mezzi corazzati della Wehrmacht. Dopo due mesi di sanguinosi combattimenti, la rivolta venne annientata e i tedeschi distrussero Varsavia.
Le cause del tragico fallimento dell'insurrezione, spietatamente schiacciata dalle forze tedesche, nel dopoguerra vennero principalmente ricondotte da alcune correnti storiografiche al mancato soccorso ai rivoltosi da parte di Iosif Stalin, deciso a far fallire la rivolta e a indebolire le forze nazionaliste polacche fedeli al governo in esilio a Londra, ma sono tuttora materia di vivaci diatribe storico-politiche.