Il sacco di Roma del 1527 ebbe inizio il 6 maggio di quell'anno a opera delle truppe imperiali che erano state al soldo di Carlo V d'Asburgo, composte principalmente da lanzichenecchi tedeschi, in numero di circa 14000 unità, oltre che da 6000 soldati spagnoli e da un imprecisato numero di bande di italiani[1]. È il nono e ultimo "sacco" (saccheggio[2]) perpetrato ai danni della città, ed è considerato fra i più brutali e peggiori dei nove eventi nonché uno degli avvenimenti più significativi dell'intera storia di Roma[3].
Una prima formazione di truppe imperiali, costituita in prevalenza da spagnoli sbarcati a Genova sotto la guida di Carlo III di Borbone, era stata impegnata nella seconda parte del 1526 nella pianura padana contro la lega di Cognac. L'imperatore aveva quindi fatto scendere a rinforzo dal Tirolo i lanzichenecchi alla guida di von Frundsberg, i quali però erano stati inizialmente contrastati con efficacia da Giovanni delle Bande Nere. Morto Giovanni e conquistata Milano, spagnoli e lanzichenecchi si riunirono a febbraio del 1527 a Piacenza.
I possedimenti veneziani a est erano protetti da Francesco Maria, duca di Urbino, che ben poco aveva fatto per impedire le azioni imperiali nelle terre del ducato di Milano. Lanzichenecchi e spagnoli, mal assortiti e mal disposti gli uni verso gli altri, decisero di muoversi congiuntamente verso sud a caccia di bottino, sotto il comando parziale di Carlo III di Borbone, che poteva contare solo sul prestigio personale, visto che le truppe non vedevano il soldo da mesi. Affamate e desiderose di preda, lasciarono indietro la poca artiglieria. Aggirata Firenze, considerata un obiettivo difficile in quanto ben difesa, a marce forzate e spinte dalla fame si diressero verso Roma. La città era praticamente sguarnita di difensori, in quanto papa Clemente VII aveva licenziato le truppe per motivi economici, convinto di poter trattare con Carlo V per cambiare nuovamente partito. A quel punto gli imperiali, fuori controllo per i mancati pagamenti, agirono di propria iniziativa e assalirono la città, andando oltre le intenzioni dello stesso Carlo V, che voleva limitarsi a minacciare l'uso della forza per costringere Clemente VII a venire a patti.
Il sacco di Roma ebbe un tragico bilancio, sia nei danni alle persone sia al patrimonio artistico. Circa 20000 cittadini furono uccisi, 10000 fuggirono, 30000 morirono per la peste portata dai lanzichenecchi. Clemente VII, rifugiatosi in Castel Sant'Angelo mentre gran parte della guardia svizzera venne massacrata, dovette pagare 400000 ducati per essere liberato. I lanzichenecchi, di prevalente fede protestante, erano animati anche da fervore antipapale e furono responsabili delle maggiori crudeltà verso religiosi e religiose e dei danni agli edifici di culto.
L'evento segnò un momento importante delle lunghe guerre per il predominio in Europa tra il Sacro Romano Impero e il Regno di Francia, alleato con lo Stato della Chiesa. La devastazione e l'occupazione della città di Roma sembrarono confermare simbolicamente il declino dell'Italia in balia degli eserciti stranieri e l'umiliazione della Chiesa cattolica impegnata a contrastare anche il movimento della Riforma luterana sviluppatosi in Germania. Carlo V negò di avere responsabilità nell'accaduto e venne a patti con Clemente VII, mentre crebbe ulteriormente l'astio tra cattolici e luterani.