Seppuku

Il generale Akashi Gidayū si prepara al seppuku dopo aver perso una battaglia nel 1582. Ha scritto la sua ultima poesia, visibile nell'angolo in alto a destra del dipinto
Seppuku

Seppuku (切腹?, tagliare il ventre), comunemente noto in Occidente come harakiri (腹切り?)[1], è un termine giapponese che indica un antico rituale suicida - obbligatorio o volontario - riservato alla classe guerriera, soprattutto samurai[2][3][4]. Diffuso dalla metà del XII secolo fino a gran parte dell'Ottocento, fu ufficialmente bandito nel 1868. La parola harakiri, sebbene ampiamente conosciuta all'estero, è usata raramente dai giapponesi, che preferiscono il termine seppuku (composto dagli stessi kanji in ordine inverso). Il rituale dello sventramento faceva solitamente parte di una cerimonia molto elaborata e veniva eseguito davanti agli spettatori.

Il metodo di esecuzione appropriato consisteva in un taglio orizzontale (kiru) nella zona del addome, sotto l'ombelico (hara), effettuato con un tantō, wakizashi oppure un semplice pugnale, partendo dal lato sinistro e tagliandolo verso il lato destro, lasciando così scoperte le viscere come un modo per mostrare la purezza del carattere. Infine, se le forze lo permettevano, si effettuava un altro taglio tirando la lama verso l'alto, prolungando il primo taglio o iniziandone uno nuovo a metà di esso.[5][6] Una volta terminato il taglio, il "boia", detto kaishakunin (介错人?), svolgeva la funzione finale del rituale, la decapitazione.[2][7]

Poiché si tratta di un processo di suicidio estremamente lento e doloroso, il seppuku veniva utilizzato come metodo per dimostrare il coraggio, l'autocontrollo e la forte determinazione caratteristici di un samurai. Come parte del codice d'onore del bushido, il seppuku era una pratica comune tra i samurai, che consideravano la propria vita come una resa all'onore di morire gloriosamente, rifiutando di cadere nelle mani degli altri e dei loro nemici, o come forma di pena di morte di fronte al disonore per un crimine, un delitto o per qualsiasi altro motivo che li avrebbe disonorati. Altri motivi erano dietro questi coraggiosi atti, come la violazione della legge o il cosiddetto oibara (追腹?), in cui il ronin (浪人?) dopo aver perso il suo daimyo (大名?), che all'epoca aveva un ruolo simile al feudatario in Occidente, sarebbe stato costretto a praticare il seppuku, tranne nei casi in cui il suo signore per iscritto impedisse tale usanza.[8]

  1. ^ Marco Mancini, Orientalismi, in Enciclopedia dell'italiano, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2010-2011. URL consultato il 19 gennaio 2018.
  2. ^ a b Harakiri, in Treccani.it – Enciclopedie on line, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
  3. ^ Seppuku, in Treccani.it – Vocabolario Treccani on line, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
  4. ^ Inazo Nitobe, XII The Institution of Suicide and Redress, in Bushido, the soul of Japan, G. P. Putnam's Sons, 1905.
  5. ^ 2006, in Treccani.it – Enciclopedie on line, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
  6. ^ 1998, in Treccani.it – Enciclopedie on line, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
  7. ^ Dieter Wanczura, Seppuku, su artelino.com, Artelino, 2005.
  8. ^ (EN) John Allyn, The 47 Ronin Story, Tokio, Charles E. Tuttle Company, Inc., 2006, pp. 224, ISBN 0804838275.

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