Sesostri I

Sesostri I
Statua di Sesostri I in pietra calcarea, dettaglio del volto. Museo egizio del Cairo.
Re dell'Alto e Basso Egitto
In carica1964 a.C. –
1919 a.C.[1]
PredecessoreAmenemhat I
SuccessoreAmenemhat II
Nome completoKheperkara Sesostri
Morte1919 a.C.
Sepolturapiramide
Luogo di sepolturanecropoli di el-Lisht
DinastiaXII dinastia egizia
PadreAmenemhat I
MadreNefertitatjenen[2]
ConsorteNeferu III
FigliAmenemhat II, Amenemhat-ankh, Itakayt, Neferusobek, Neferuptah, Sebat, Nenseddjedet

Sesostri I (o Sesostris I, ellenizzazione dell'originale Senuosret I; anche Kheperkara Sesostri) (... – 1919 a.C.[1]) è stato un sovrano egizio della XII dinastia.

Regnò dal 1964 a.C. al 1919 a.C.[1] o, secondo altri studiosi, dal 1971 a.C. al 1926 a.C. Fu uno dei faraoni più potenti della XII dinastia e il suo regno fu un'epoca di splendore della letteratura e dell'artigianato, come testimoniano i gioielli d'altissima qualità rinvenuti nelle tombe delle donne della famiglia reale, a Dahshur ed El-Lahun. Era figlio di re Amenemhat I e della regina Nefertitatjenen; si unì in matrimonio a sua sorella Neferu III, con cui generò il successore Amenemhat II. Il nome regale di Sesostri I, Kheperkara, significa "Creato è il Ka di Ra", mentre il suo nome di nascita, Sesostri appunto (Senuosret in egizio) significa "Uomo della dea Uosret".[3]

Faraone di enorme prestigio, godette di un'ottima reputazione per tutta la storia egizia, venendo annoverato fra i sovrani più meritevoli nelle liste d'epoca ramesside.[4] Come ha scritto l'egittologo italiano Franco Cimmino:

«... con lui l'Egitto della XII dinastia assunse una dimensione classica che rimarrà fino alla fine della storia faraonica.[4]»

  1. ^ a b c Franco Cimmino, Dizionario delle dinastie faraoniche, Milano, Bompiani, 2003 ISBN 88-452-5531-X. p.470.
  2. ^ W. Grajetzki, The Middle Kingdom of Ancient Egypt: History, Archaeology and Society, Duckworth, London 2006 ISBN 0-7156-3435-6, p.36.
  3. ^ Peter Clayton, Chronicle of the Pharaohs, Thames & Hudson Ltd, (1994), p.78.
  4. ^ a b Cimmino (2003), p.153.

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