La storia della Polonia dal 1945 al 1989 abbraccia il periodo successivo alla seconda guerra mondiale in cui il comunismo sovietico dominava sulla Repubblica Popolare di Polonia. Questi anni, anche se con molti miglioramenti negli standard di vita in Polonia, furono funestati da disordini sociali e dalla depressione economica.
Verso la fine della seconda guerra mondiale , l'avanzata sovietica dell'Armata Rossa spinse fuori dalla Polonia occupata le forze naziste tedesche. Su insistenza di Stalin, la Conferenza di Jalta sancì la formazione di una nuova coalizione polacca e filo-comunista di governo a Mosca, che ignorò il governo in esilio della Polonia situato a Londra. Questo è stato descritto come un tradimento occidentale nei confronti della Polonia da parte degli Alleati per guadagnarsi il favore del leader sovietico,[1] ed evitare un conflitto diretto. Gli accordi di Potsdam del 1945 sancirono lo spostamento verso ovest dei confini polacchi e approvò il nuovo territorio polacco compreso tra la linea Oder-Neisse e la linea Curzon. La Polonia per la prima volta nella storia divenne uno Stato nazionale etnicamente omogeneo in conseguenza della Shoah, l'espulsione dei tedeschi ad ovest, il reinsediamento degli ucraini ad est ed il rimpatrio dei polacchi da Kresy. Il nuovo governo comunista di Varsavia incrementò il proprio potere politico e nei due anni successivi il Partito Operaio Unificato Polacco (POUP), sotto Bolesław Bierut acquisì il controllo del paese, che nel Dopoguerra sarebbe diventato parte dell'area di influenza Sovietica.
Dopo la morte di Stalin, nel 1953, un riallineamento politico nell'Europa Orientale portò al potere una fazione più liberale dei Comunisti polacchi, guidata da Władysław Gomułka. Entrò la metà del 1960, in conseguenza all'ingente influenza dei produttori agricoli privati e ad una serie di errori di valutazione dirigenziali, la Polonia iniziò a trovarsi in sempre più maggiori difficoltà economiche e politiche. Nel dicembre 1970, un aumento dei prezzi provocò un'ondata di scioperi. Il governo introdusse un nuovo programma economico basato su larga-scala su prestiti derivanti dall'Occidente, che come risultato ebbe un aumento immediato del tenore di vita e delle aspettative, ma il programma vacillò a causa della crisi petrolifera del 1973. Nella seconda metà degli anni 1970, a causa dell'aumento dei tassi d'interesse dei prestiti operato dal governo statunitense, il governo di Edward Gierek fu costretto ad innalzare i prezzi, causando una nuova ondata di proteste pubbliche. Il circolo vizioso venne interrotto nel 1978 con l'elezione al papato di Karol Wojtyła con il nome di Giovanni Paolo II, che portò al rafforzamento dell'opposizione in Polonia al comunismo. Nell'agosto del 1980 venne fondato il sindacato indipendente Solidarność (Solidarietà); una delle figure prominenti al movimento fu l'elettricista Lech Wałęsa. Il crescente rafforzamento dei movimenti d'opposizione portarono il governo di Wojciech Jaruzelski a dichiarare l'instaurazione della legge marziale nel dicembre 1981. Tuttavia con le riforme promosse da Mikhail Gorbachev, le pressioni da parte occidentale e le continue inquietudini della società polacca, i comunisti furono costretti a negoziare con i dissidenti. Con gli Accordi della Tavola Rotonda del 1989 il movimento Solidarność venne ammesso a partecipare alle elezioni politiche. Il notevole successo di Solidarność che ne derivò diede impulso alle rivoluzioni del 1989, tra cui anche la caduta del muro di Berlino e della cortina di ferro. Nel 1990 Jaruzelski si dimise dalla carica presidenziale e al suo posto subentrò Wałęsa.