«Il Tao che può essere detto non è l'eterno Tao,
il nome che può essere nominato non è l'eterno nome.
Senza nome è il principio del Cielo e della Terra...»
Il taoismo o daoismo, (道教 pinyin: dàojiào, "dottrina del Tao") designa sia le dottrine a carattere filosofico e mistico esposte, principalmente, nelle opere attribuite a Laozi e Zhuāngzǐ (composte tra il IV e III secolo a.C.), sia la religione taoista istituzionalizzatasi come tale all'incirca nel I secolo d.C.[2]. Al contrario del confucianesimo, il taoismo non possiede un insegnamento fondamentale o un credo e pratica unitari. È principalmente una religione cosmica, centrata sul posto e sulla funzione dell'essere umano, di tutte le creature e dei fenomeni in esso.[3] Nel tempo se ne sono sviluppate diverse scuole e interpretazioni. Nonostante la distribuzione ubiquitaria in Cina e la ricchezza di testi, si tratta probabilmente della meno conosciuta tra le maggiori religioni al mondo[4].
Come ricorda Stephen R. Bokenkamp[5] i cinesi non possedevano un termine per indicare le proprie religioni fino all'arrivo del buddhismo nei primi secoli dopo Cristo (la prima introduzione del buddismo in Cina sarebbe avvenuta nel 64 d.C.), quando opposero al Fójiào (佛教, gli insegnamenti del Buddha), il Dàojiào (道教, gli insegnamenti del Tao). Dall'influenza del taoismo sul Buddhismo Mahāyāna indiano probabilmente si sviluppò il Chan.[6]
Più precisamente nell'epoca pre-imperiale (antecedente al III secolo a.C.) il termine "dàojiào" era utilizzato dai seguaci di Mozi per designare i confuciani[7]. Solo dal quinto secolo in avanti vediamo utilizzato questo termine per intendere la dottrina del Dao.[7]
Allo stesso modo, Farzeen Baldrian[senza fonte] e T.H. Barret[7] rammentano come gli studiosi classificatori del periodo Han indicarono, in modo "mal definito", come Dàojiā (道家, scuola daoista) autori ed opere a loro precedenti.
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«Le concezioni che emergono dalle opere taoiste non presentano un carattere univoco; quasi certamente esse abbracciano tendenze diverse che sono andate via via stratificandosi in un corpus di testi, cui solo in epoca successiva si è voluto attribuire la natura di un complesso dottrinario omogeneo.»
Ancora il termine Taoismo con il suo suffisso -ismo non avrebbe quindi alcuna controparte nella lingua cinese. Esso verrebbe utilizzato in tal modo solo negli scritti occidentali.[9]
Ulteriore fonte di complessità nell'approccio al Taoismo, è il sostanziale pregiudizio sorto fin dai primi contatti con religiosi occidentali che spesso videro in tale religione una corrente fortemente degenerata. Tale giudizio è andato via via stemperandosi nel tempo, raggiungendo attualmente un certo distacco.[10]
^Girolamo Mancuso contesta questa traduzione "tradizionale", in quanto afferma, sulla scia del sinologo J. J. L. Duyvendak, che sia erroneo definire il Tao eterno ed immutabile, oltre che ineffabile, ma che dovrebbe essere definito come mutabile, e forse non ineffabile, cioè è possibile parlare o spiegarlo; attribuisce questa traduzione alle incrostazioni linguistiche, e traduce pertanto, dal testo originale: «La via che si può considerare la via, non è una via invariabile; i nomi che si possono considerare nomi non sono nomi invariabili.» (da: Lao-Tzu, Il libro del Tao - Tao-Teh-Ching, cura e traduzione di G. Mancuso, Newton Compton Editori, 2011
^ Giuliano Bertuccioli, Il Taoismo, da Storia delle religioni, vol. 10, La Biblioteca di Repubblica, p. 446.(il testo citato non contempla il termine "principalmente" aggiunto per meglio sottolineare un canone taoista estremamente ampio e composito)
^(Jean C. Cooper, An Illustrated Introduction to Taoism, The Wisdom of the Sages, Joseph A. Fitzgerald Editor, Bloomington, World Wisdom, 2010, pag. 5)
^ Isabelle Robinet, Taoist meditation, State University of New York Press, p. XVII.
^Lindsay Jones (ed.), Encyclopedia of Religion. Second Edition, vol 4, Farmington, Thomson Gale, 2005, pag. 2177
^Henri Maspero, Taoism and Chinese Religion, University of Massachusetts Press, 1981 ISBN 978-0-87023-308-1
^Più precisamente lo storico Sima Tan, in un capitolo delle Memorie di uno storico intitolato liùjiā zhī yàozhǐ (六家之要指) ovvero "i fondamenti dei sei gruppi di esperti", descrive il panorama dottrinale presente in Cina nel periodo antecedente l'avvento della dinastia Qin. Tra le sei categorie viene annoverato anche il cosiddetto 道家 daojia (sulla questione scuole/esperti vedi Cento scuole di pensiero. In epoca Han e nelle successive, l'interpretazione storiografica cinese affermatasi come ortodossa rimase vincolata a questa schematizzazione operata da Sima Tan. Inoltre studi moderni ed evidenze documentarie testimoniano quanto la situazione in epoca pre-imperiale (quindi fino al 221 a.C.) fosse invece assai più fluida e meno rigidamente compartimentata tra scuole concorrenti e gerarchicamente strutturate al loro interno (ad eccezione dei moisti). Dati tratti da: Memorie di uno storico; Scarpari, M., Il confucianesimo. I fondamenti e i testi, Torino, Einaudi, 2010, pp.263-265 ISBN 978-88-06-20117-3.
^The English word Daoism, with its nominalizing suffix, has no counterpart in the Chinese language. The term has been used in Western writings on China.... Stephen R. Bokenkamp, "Daoism: an overview" in Lindsay Jones (ed.), Encyclopedia of Religion. Second Edition, vol 4, Farmington, Thomson Gale, 2005, p. 2176
^Pregadio, vol 1 p. VII-VIII Ciò avvenne chiaramente con i primi missionari del XVI secolo Friar Gaspar da Cruz O.P. oppure con il gesuita Matteo Ricci che, forti della loro cultura controriformista, pur con diverse sfumature in fatto di incontro di una nuova cultura, furono assai disturbati in particolare dalla mancanza di un "celibato" dei preti taoisti. Tale pregiudizio cominciò ad essere scardinato in particolare con gli studi di Henri Maspero e di altri studiosi (sempre del XX secolo) quali Isabelle Robinet, Michel Strickmann, Anna Seidel