L'espressione vittoria mutilata fu coniata nel 1918 da Gabriele D'Annunzio[1] e adottata da nazionalisti, revanscisti e da una parte degli irredentisti[2] per denunciare la mancanza di tutti i compensi territoriali che ritenevano spettassero all'Italia dopo la prima guerra mondiale a seguito del Patto di Londra e dei termini dell'armistizio di Villa Giusti con l'Austria-Ungheria.
Secondo Gaetano Salvemini, la "Vittoria mutilata" fu un autentico mito politico[3], capace di catalizzare l'immaginario di parte della società e soprattutto dei reduci, ponendo le basi culturali e ideologiche del fascismo.[4][5]