Wasif al-Turki

Waṣīf al-Turkī (in arabo ﻭﺻﻴﻒ ﺍﻟﺘﺮﻛﻲ?, ossia "Waṣīf[1] il Turco"; fl. IX secolo) è stato un comandante militare turco di spicco durante il califfato degli abbasidi al-Muʿtaṣim, al-Wāthiq bi-llāh e al-Mutawakkil (847-861) e al-Muntaṣir.

Non si sa nulla di preciso della sua etnia[2] e della sua origine geografica (quasi certamente il Mā warāʾ al-Nahr), essendo stato comperato come schiavo (ghulām, o mawlā), verso l'815-16/200 E.,[3] dal Califfo abbaside al-Muʿtaṣim, ai cui ordini egli rimase sempre fedelissimo, sembra per operare come "armiere" (zarrād).[4]

Secondo l'esame fatto da Hugh Kennedy[5] la prima fonte a parlare di Waṣīf sarebbe al-Ya'qubi nel suo noto Kitāb al-buldān (Il libro delle contrade),[6] in cui sarebbe indicato, nella nuova capitale di Sāmarrāʾ, come uno dei quwwād[7] turchi, originari dell'Asia centrale, così come Ashinās, Ītākh, Khāqān ʿUrṭūj, al-Afshīn o Bugha il Vecchio, tutti al servizio di al-Muʿtaṣim e presto a capo dei reggimenti dei Farāghina (composta cioè dai militari originari del Fergana), dell'Ushrūsaniyya (vale a dire dei militari delle aree gravitanti sulla pianura dell'Ushrūsana) e dell'Ishtākhanjiyya (formata con soldati provenienti dalle regioni dell'Ishtākhanj, in Khorāsān).

Reso quasi subito uomo libero da al-Muʿtaṣim, la sua carriera militare fu rapida e - come per tutti gli altri comandanti turchi - notevolmente redditizia, potendo vantare ricche proprietà a Isfahan e ad Hamadan.[8]

  1. ^ Che significa "schiavo", o "servitore". Lo Jacono, p. 216.
  2. ^ Il termine "Turco" (al-Atrāk) indicava all'epoca tutta la vasta e indifferenziata congerie dei turcofoni dell'Asia centrale, dall'Orkhon alla Transoxiana, ma anche chi proveniva da regioni non-turche, bensì iraniche, quali il Gurgan, il Khwārizm e il Sistan (o, alla araba, Sigistan).
  3. ^ Insieme a Ītākh e ad Ashinās.
  4. ^ Gordon, pp. 19 e 23.
  5. ^ Kennedy, p. 118.
  6. ^ Scritto nell'890 circa, quando il califfato sarebbe tornato a Baghdad.
  7. ^ Pl. di qāʾid (ufficiale delle forze califfali).
  8. ^ Gordon, pp. 120-121.

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