L'epìtesi, dal greco epíthesis, "il porre (thésis) sopra (epí)", "sovrapposizione"[1], è un fenomeno di fonetica storica che consiste nell'aggiunta di un suono o di una sillaba non etimologica alla fine di una parola. È anche detta paragòge[2].
Di seguito alcuni esempi di epitesi:
- la 3ª persona plurale del passato remoto del verbo italiano "amare", amaro[3], diventa amarono intorno al XIV secolo, con epitesi della sillaba -no[4];
- l'infinito del verbo italiano "essere" è mutuato dal latino (ĕsse) e poi allineato, con epitesi della sillaba -re[5];
- film, alcol → toscano filme, alcole[6];
- David → David(d)e;
- Gabriel latino → Gabriello da cui il moderno Gabriella.
In italiano antico era anche frequente dopo la vocale:
- più → piùe (Dante: «Or s'i' non procedesse avanti piùe», Paradiso XIII 88)[1];
- amò → amoe;
- fu → fue.
Il contrario dell'epitesi è l'apocope.
- ^ a b Nicola Zingarelli, Vocabolario della lingua italiana, ed. Zanichelli, 1990, p. 617.
- ^ Serianni, 2010, p. 744.
- ^ -ro è desinenza italiana arcaica, dal latino popolare amārunt, che origina dal latino classico amavērunt, analogamente ad altre forme, come potero, sentiro etc.
- ^ Le forme di 3ª persona plurale senza epitesi sopravviveranno a lungo in poesia: «agli anni miei/anche negaro i fati/la giovanezza», da A Silvia (50-52) di Giacomo Leopardi (cfr. Serianni, 2010, pp. 410-1.)
- ^ In Dante si trova esse sostantivato, con sapore di forte latinismo: «anzi è formale ad esto beato esse» (Paradiso, III 79).
- ^ Il Devoto-Oli. Vocabolario della lingua italiana, Le Monnier, al lemma "epitesi".