L'epigenetica (dal greco ἐπί, epì, «sopra» e γεννητικός, gennitikòs, «relativo all'eredità familiare») è una branca della genetica[1] che si occupa dei cambiamenti fenotipici ereditabili da una cellula o un organismo, in cui non si osserva una variazione del genotipo[2].
È stata definita da Arthur Riggs e colleghi come "lo studio dei cambiamenti mitotici e meiotici ereditabili che non possono essere spiegati tramite modifiche della sequenza di DNA".[3]
Quello che succede è che viene ereditata una sorta di "impronta" molecolare sul genotipo che determina il grado di attivazione dei geni, la cui sequenza, però, rimane identica. Questa impronta molecolare consta di modificazioni covalenti della cromatina, sia a livello del DNA che delle proteine, ed è pertanto duratura, ma può essere reversibile.
Tali modificazioni, dette epimutazioni, durano per il resto della vita della cellula e possono trasmettersi a generazioni successive delle cellule attraverso le divisioni cellulari, senza tuttavia che le corrispondenti sequenze di DNA siano mutate;[4] sono quindi fattori non-genomici che provocano una diversa espressione dei geni dell'organismo.[5]
Fenomeni epigenetici sono ad esempio alla base della maggior parte dei processi di differenziamento cellulare (e loro alterazione, quindi anche nel cancro[6]), dell'inattivazione del cromosoma X, e concorrono a una certa plasticità fenotipica ereditabile in relazione a cambiamenti ambientali che ricorda l'ereditarietà lamarckiana dei caratteri acquisiti. Ad esempio, eventi molto stressanti possono lasciare un'impronta epigenetica a livello della metilazione del DNA[7].